Testimonianze

Chi era Padre Maestro.
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Biografia

Padre Matteo De Angelis, conosciuto soprattutto dai Carpinetani come “Padre Maestro”, nasce a Ferentino, cittadina in provincia di Frosinone, in una abitazione vicino la Chiesa di Santa Maria dei Cavalieri Gaudenti, il 18 maggio 1920, nello stesso giorno mese ed anno in cui a Wadowice, cittadina della Polonia, vedeva la luce il venerato Santo Padre Giovanni Paolo II.
Padre Matteo discende dalla famiglia De Angelis che, per limitarsi a dati certi a partire dal 1700, ha dato alla cittadina ciociara di Ferentino: il grande pittore Desiderio De Angelis, costruttore e parroco della Chiesa di Sant’Ippolito, Don Fedele De Angelis, eroe-martire, ucciso dai rivoluzionari francesi a Roma, e Ottavia De Angelis, madre della santa Maria De Mattias, fondatrice delle “Suore adoratrici del Sangue di Cristo”, canonizzata da S.S. Giovanni Paolo II il 18/05/2003.

Sua madre, Maria Giuseppa Palombo (nata nel 1888), che oltre a Matteo ebbe altri due figli, Domenico ed Anna, era una donna umile, dolce e servizievole e cosa un po’ rara per quei tempi, sapeva leggere e scrivere.
La donna, soprattutto durante il secondo conflitto mondiale, mise questa sua capacità a servizio di quanti volevano scrivere ai propri cari che si trovavano al fronte leggendo, poi, ai familiari le lettere che i militari spedivano loro. Avendo anche lei il figlio Domenico militare e lontano da casa, era molto partecipe delle vicissitudini degli altri giovani e soffriva tantissimo allorquando dal fronte arrivavano notizie di battaglie e di morte che lei, leggendole per prima, aveva il doloroso compito di comunicare ai familiari.
Suo padre, Angelo Maria (nato nel 1866), rimasto orfano di entrambi i genitori in tenera età, era stato accolto in casa di un sacerdote: Don Raimondo Gasbarra. Si sposò in età matura, esercitò il mestiere di calzolaio e anche di sagrestano presso la Chiesa di Santa Maria Dei Cavalieri Gaudenti, per questo, il piccolo Matteo, sin dalla primissima infanzia, viene a contatto con una realtà di vita che poneva al centro l’amore per il prossimo e l’amore per Cristo.

E’, infatti, in questo modo che lo ricorda il fratello Domenico, come si evince chiaramente dalle seguenti sue parole:
“Ricordo gli inverni trascorsi insieme a casa davanti un grande camino sempre acceso, con due sedioline uguali di legno e di paglia, litigando sempre perché lui voleva la mia e viceversa. Naturalmente era sempre lui a cedere, avendo un carattere più docile del mio.
Quando c’erano delle belle giornate, scendevamo per strada a giocare con il cerchio, con i noccioli delle pesche e con una dama scolpita su uno scalino della loggia di casa.
Nel mese di Maggio, poi, come tradizione dell’epoca, le donne si riunivano di sera a recitare il Rosario presso una nicchia situata davanti la casa del nostro amico Fernando, in via Castel S. Angelo, contenente la statua della Madonna.
Al piano terra di questa abitazione vi era un sottoscala dove noi, giocando, facevamo un piccolo altare, vestivamo Matteo da Vescovo facendo la Mitra con del cartone e il Pastorale con un bastone foderato per poi formare una processione dietro di lui, con altri amici, usando dei barattoli a mo’ di campanelli, e facendo il giro dei vicoli dietro la Chiesa Parrocchiale.
In Chiesa Matteo era sempre il primo ad arrivare per vestirsi da chierichetto e servire la Santa Messa.
Erano tempi un po’ difficili e ci inventavamo qualsiasi lavoro per racimolare qualche piccolo soldo. Ad esempio, per la ricorrenza dei defunti, insieme ad altri amici, ci adoperavamo a colorare, con pennelli e tintura nera, le croci arrugginite e prive di colore; quando la tintura stava per finire la si allungava con un po’ di fuliggine presa dal camino di casa.
Spesso frequentavamo l’Azione Cattolica e lì, insieme a tanti amici, si faceva il teatrino e lui interpretava sempre la parte del sacerdote.”

Anche i ricordi della sorella Anna evidenziano la naturale mitezza di Matteo:
“Quando io sono nata aveva già nove anni, i miei ricordi diretti non sono molti visto che quando lui ha lasciato Ferentino avevo appena quattro anni. In famiglia, tuttavia, si parlava sempre di lui, stava sulle bocche e nei cuori di tutti e spesso i miei familiari mi raccontavano di cose successe quando io ero piccina. Ad esempio raccontavano che, in occasione del Giubileo straordinario nell’anno 1933, Matteo si recò a piedi a Roma affidato ad una zia (“ zia Mena”) che, in alcuni tratti di strada, lo dovette prendere in braccio perché dolorante ad un ginocchio.
Al ritorno, tuttavia, Matteo diede prova della sua naturale bontà d’animo, pensando di riportare da Roma alla nonna Filomena, alla quale era molto affezionato, un gustoso pacchetto di caramelle ….”
Domenico ricorda che, dopo il ginnasio, Matteo avrebbe voluto continuare gli studi per consacrarsi sacerdote e, dato che le possibilità economiche della famiglia non lo permettevano, fu un canonico della cattedrale (Canonico Zeppa) a prenderlo a cuore e ad accompagnarlo a Roma nella casa degli Agostiniani.
Entrato nel seminario di Viterbo il 5 novembre 1934, iniziò il Noviziato a Genazzano Romano il 12 settembre 1935. L’anno successivo, 16 settembre 1936, emise la Professione Semplice. Proseguì gli studi filosofici nel Convento di San Pietro in Cieldoro a Pavia, da cui si assentò solo per un breve ritorno a Ferentino, nel dicembre del 1937, in occasione della morte del padre Angelo Maria avvenuta proprio il giorno del S. Natale. Compì gli studi teologici a Roma, nel Convento di Santa Prisca, dove si consacrò definitivamente al Signore con la Professione Solenne il 3 giugno 1941. Fu ordinato sacerdote a San Sisto di Viterbo il 6 dicembre 1942 dal Vescovo Mons. Adelchi Albanesi.
Ancora dai ricordi di sua sorella Anna:
“Quando mio fratello, il 6 dicembre 1942, in Viterbo, fu ordinato sacerdote, avevo dodici anni. Ricordo che si era in piena guerra e nessuno di noi ebbe la possibilità di partecipare, ma mia madre partecipò in Ferentino all’ordinazione di un ex compagno di seminario di mio fratello, Don Radaele Di Torrice, come se stesse partecipando all’ordinazione del figlio. Qualche settimana dopo la sua ordinazione, partecipammo tutti, invece, alla sua prima messa in Ferentino, il 20 o 22 dicembre 1942, nella Chiesa di Santa Maria dei Cavalieri Gaudenti, sua parrocchia natia: insieme a mio fratello Mimmo, mia madre e tantissima gente, partecipò anche tutto il clero di Ferentino. Per l’occasione fu preparato un grande pranzo nella nostra casa, ci fu una festa indimenticabile conclusa con una torta imponente. Ricordo la felicità di mia madre, la gioia di avere un figlio consacrato a Dio era immensa ma per lei fu di breve durata, almeno su questa terra, perché Dio la chiamò a sé già l’anno seguente, nel 1943.”
A Viterbo padre De Angelis ha il ruolo di vice maestro, ma non viene mai meno il suo amore per il prossimo e, soprattutto, per i suoi ragazzi.
Così lo ricorda padre Lombardi:
“Era il Novembre del 1944 quando, in una di quelle giornate viterbesi in cui il vento di tramontana mozza le orecchie, varcai la soglia del Convento della S.S. Trinità di Viterbo.
In quell’occasione ebbi la fortuna di conoscere il Padre De Angelis, forse qualcuno di voi potrà dire: perché non il Padre Maestro? ed invece il Padre De Angelis?…
Conobbi il Padre De Angelis che non era il maestro, che non aveva il titolo di maestro ma che faceva da maestro, soprattutto ci amava da maestro, ci guidava da P. Maestro, ci voleva bene da P. Maestro. Non possedeva il titolo di Maestro, ma aveva il cuore e la mente del maestro, del padre, dell’educatore, cioè di colui che sa stare con i giovani, che li ama, li sostiene, li aiuta.
Erano tempi, gli anni 1944 – 1945, molto duri, si passava sotto le macerie per andare a tavola perché il convento era in gran parte danneggiato per la guerra; passando per i corridoi si vedeva l’azzurro del cielo e si soffriva il freddo intenso portato dal vento viterbese che entrava da tutte le parti: chi conosce il convento di Viterbo sa quanto siano spaziosi ed ampi i corridoi e quanto ampi siano anche i finestroni che, allora, non avevano tutti i vetri. Si vedeva allora questo sacerdote, arrampicato in alto sopra una scala, cercare di chiudere le aperture ricoprendole di compensato e lamiere per impedire al freddo di entrare e poi, con un pennello in mano, dipingerle per cercare di far sì che anche l’aspetto esteriore fosse meno triste. Si soffriva la fame ma il P. De Angelis ci rendeva meno gravosa questa condizione portandoci spesso alla Pallanzana a raccogliere le castagne, non solo, ma cercava il pane per darlo a merenda ai suoi giovani figlioli. Si soffriva anche il freddo e prima di andare a scuola, in quelle mattinate e freddissime, ed anche prima di pranzo, il P. De Angelis, strano a dirlo, giocava e correva con tutti noi per farci riscaldare.
Erano tempi molto duri ma egli rendeva meno amara la nostra adolescenza: con quanta mansuetudine e tenerezza ci dava il latte delle prime verità di fede e della vita religiosa agostiniana! Un suo insegnamento mi è rimasto particolarmente impresso, diceva <>; allora non comprendevo che il Padre ci invitava a non usare parole che potessero pungere il prossimo, ci invitava a non offenderci bensì a volerci bene. E quante volte l’ho visto, dopo una giornata particolarmente faticosa, addormentarsi stanco sul breviario.
Ricordo che eravamo tutti adolescenti ed io ero tra i più piccoli, provenivo da una condizione in cui mi ero trovato senza affetto: non avevo il padre e non avevo la madre, eppure posso assicurarvi che trovai in P. De Angelis e mio padre e mia madre. Quando venne a conoscenza della mia situazione mi curò in modo particolare tant’è che fui il primo dei suoi discepoli ad essere ordinato quando, a Carpineto, il P. De Angelis assunse il titolo e l’ufficio di P. Maestro.
Dopo Viterbo, infatti, si andò a Carpineto, si cambiò sede, ma le difficoltà non cambiarono…”.
Nel convento di Carpineto Padre De Angelis ritrovò i problemi legati all’edificio (l’acqua piovana entrava da tutte le parti) e la preoccupazione di sfamare i ragazzi tant’è che, il giovedì di ogni settimana, girava per il paese chiedendo il pane da distribuire ai suoi giovani.
Ma queste ‘ordinarie’ difficoltà non furono le sole; proprio all’inizio della sua opera di padre Maestro nel Convento di Carpineto, il Signore lo volle provare con una esperienza dolorosissima: un giovane seminarista si ammalò gravemente. Padre Maestro, che allora aveva appena 27 anni, lo curò amorevolmente passando notti insonni acconto a lui e gioì allorché sembrò che il ragazzo fosse veramente guarito, ma, nel febbraio dell’anno 1948, il giovane si aggravò di nuovo e volò in cielo. Fu un dolore immenso per tutti, ma in particolar modo per Padre Maestro al quale era venuto a mancare un figlio.
Questo il significato che, a distanza di anni, padre Lombardi attribuisce al penoso evento:
“Forse il Signore si volle servire di quel sacrificio perché padre Maestro con il suo zelo, il suo impegno potesse capire che stava costruendo la Chiesa per il Signore, ed oggi, dopo venticinque anni di sacerdozio, vi è una corona di sacerdoti intorno a lui, una corona di figli che sono pure la sua gloria, dopo tanti anni di attività e di educazione può dire di aver dato alla Chiesa diciotto sacerdoti… e quei diciotto sacerdoti, a loro volta, hanno dato alla Chiesa tante anime, hanno distribuito tanta grazia, hanno ridato data gioia, hanno ingrandito il regno di Cristo, solo Dio può sapere quello che padre Maestro ha fatto, solo il Signore può dargli una degna ed adeguata ricompensa.”
E certamente padre Maestro ha trasmesso ai suoi ragazzi tanto amore e gioia, come traspare anche dalle parole di padre Amedeo, seminarista a Carpineto dal ’51 al ’53:
“Penso che per il padre Maestro educare equivalga a vivere; per cui non c’è necessità di cattedre, di parole, di citazioni, di atteggiamenti…educare è appunto come la vita:cresce in silenzio; si gioisce, si lavora, si soffre e il tutto è vita, ne fa parte essenziale, come di un ‘continuo’ naturale...”
Padre Loreto (insieme a padre Fastella e padre Luciano inseparabile amico e confratello di padre De Angelis) con un’ apparente banalità, dietro la quale in realtà si nasconde un’ incomparabile lezione di pazienza e bontà, descrive le giornate del Maestro come tutte uguali.
Sì, tutte uguali nella disponibilità e affezione verso il prossimo; con i seminaristi, poi con i ragazzi ‘difficili’ e, infine, con i numerosi gruppi che, in ogni periodo dell’anno, trovavano ospitalità in convento: sempre attento, vigile, ma mai invadente, “delicato e riservato in tutto, legato ai lavori più umili e con un’infinita e ferma fiducia nella Provvidenza e misericordia divina”.
E tutti, anche se con diverse espressioni, ricordano così padre Maestro:
“uomo umile, ricco di bontà, di dolcezza, di ottimismo” (dai ricordi di una monaca del Monastero delle Carmelitane a Carpineto);
“carità nell’incoraggiare, nel consolare…e la sua attenzione nel non recare mai disappunto o turbamento agli altri” (padre Giovanni Scanavino, OSA);
“ho conosciuto la sua umiltà, la sua ritrosia, la sua profonda capacità di accogliere e comprendere senza giudicare” (una delle tante anime cresciute da padre Maestro);
“P. Maestro amava Dio non soltanto dicendogli ‘Signore, Signore!’, ma compiendo le opere di amore che il Signore ci raccomanda…volto sereno, uomo semplice, uomo di Dio, la sua vita era per tutti” (padre Gabriele Pedicino, OSA);
“il silenzio di padre Maestro sapeva comunque parlare; passare del tempo nella sua stanza, soltanto in sua compagnia, senza dirsi niente, lasciava comunque la serenità di una lunga e sincera chiacchierata, dando l’impressione di una profonda comunione e comunicazione tra le nostre anime …”(un ex seminarista).
Ecco, infatti, come padre Fastella, in occasione del 60° di sacerdozio di padre De Angelis, descrive il suo ‘rinnovato’ impegno nei confronti dei giovani, e la sua instancabile attività di agostiniano - benedettino: “Una volta in pensione, dopo lasciato l’insegnamento alle scuole medie, continua un insegnamento peculiare, in aiuto a delle intelligenze meno dotate e poco familiari col latino. E la sua camera si riempie di ragazzi e ragazze, e la dattilografica ritma in continuazione, fino a tarda sera, nel preparare schemi e sunti.
Un po’ libero al mattino dei giorni di scuola, con ingegno e volontà non comuni, dà di piglio alla cassetta dei ferri; finestre, porte, sedie, gli creano un vero cantiere di lavoro. Raschia, vernicia, inchioda…Andiamo all’aria aperta, nel vasto terreno vario e accidentato: viali a pergolato, trapezi ad ortaggi, bosco, campo sportivo...ma l’età non ne risente; il suo fisico ha sempre l’aspetto giovanile, sereno, gioioso. Solo in alto son saltati i capelli, lasciando una bianca cornice ai parietali…caro padre Maestro, certamente doppia sarà un giorno la tua corona, e varie le gemme incastonate.”
Nel pomeriggio del 14 Maggio 2003, dopo una ‘regolare’ mattinata di lavoro, padre Maestro “ha aperto le ali e, angelo qual’era, se ne è volato in cielo” (padre Carlo Cremona, OSA).
La sua morte ha lasciato una profonda malinconia in tutti coloro che lo hanno conosciuto e amato, ma sicuramente la sua figura agile e silenziosa continua ad accompagnarci con una presenza sempre discreta e costante: “Celeste è questa corrispondenza d’amorosi sensi, celeste dote è negli umani; e spesso per lei si vive con l’amico estinto e l’estinto con noi” (U. Foscolo, “Dei Sepolcri”).

Forza,forza n'avè paura

"...le chiavi nella toppa, la macchina da scrivere sul tavolo, fogli rosa che pendono, non è solo la stanza di un frate, ma un insieme di ricordi dove ognuno di noi ha una parte del proprio vissuto, un magazzino di emozioni, ognuno di noi il ricordo di un rapporto esclusivo con il Maestro..."